Il miglior cibo italiano è cucinato da stranieri
Il quotidiano americano indaga nelle cucine romane e si chiede: “La cucina resta italiana anche se il cuoco non lo è?”
La cucina è ancora italiana anche se lo chef non lo è? Se lo chiede il New York Times, che ha deciso di raccontare i migliori ristoranti romani attraverso i suoi cuochi, che spesso provengono non dalle cucine italiane, ma da quelle di Tunisia, Marocco, Romania e persino Bangladesh.
Lo scorso mese la pubblicazione Gambero Rosso ha stilato le migliori carbonare della capitale. Al primo posto si è classificato l’Antico Forno Roscioli, il cui capo cuoco, Nabil Hadj Hassen, che oggi ha 43 anni è arrivato nel Bel Paese dal Marocco all’età di 17 anni e ha dovuto lavorare un bel po’ di piatti prima di cucinare il primo piatto di pasta. La seconda miglior pasta alla carbonara viene invece cucinata all’Arcangelo, dove lo chef è indiano. D’altra parte oggi è difficile trovare un ristorante italiano con uno staff interamente locale. “Se è un egiziano a cucinare, non cambia nulla” spiega al reporter americano Francesco Sabatini, 75 anni, proprietario del ristorante Sabatini a Trastevere, uno dei più conservatori e tradizionalisti della città. Anche qui sette dei dieci cuochi non sono italiani. “Quello che conta sono gli ingredienti genuini – continua Sabatini – e una preparazione semplice e tradizionale, senza rivoluzioni”.
Ma è anche una questione di mercato, e di fatica. “Il lavoro è stancante, e impiega molte ore della giornata – dice Loriana Bianchi, proprietaria della Canonica, sempre a Trastevere, che impiega numeroso personale dal Bangladesh – e spesso gli italiani non vogliono più farlo. I piatti, però, restano autentici”.