Lo spumante italiano Gancia diventa Russo
Lo spumante italiano Gancia diventa Russo
Il 15 dicembre il famoso spumante italiano ha firmato l’accordo con il quale ha sancito l’acquisto da parte dei russi di questa famosa marca di spumante italiano; difatti, molti di voi ricorderanno che Gancia fu il primo ad ideare e produrre lo spumante italiano. Ora, il 70% delle azioni della Gancia sono state affidate nelle mani della Rsc-Russian Standard Corporation, mentre che il rimanente 30% sono rimaste in Italia. A dare l’annuncio definitivo della cessione storica è stata la stessa casa astigiana produttrice di spumante italiani da tantissimo tempo.
Lo spumante italiano rinnova il suo assetto
Insieme ai rappresentanti del gruppo degli acquisitori Rsc rimarranno ancora nel gruppo del consiglio di amministrazione anche Edoardo Vallarino Gancia, Lamberto Vallarino Gancia e Paolo Fontana, che ha affermato e rassicurato dicendo che il prodotto Gancia rimarrà ancora presente sul territorio italiano. Roustam Tariko, fondatore della Rsc, in merito a questa nuova mossa realizzata insieme a Gancia spiega: “Si tratta di un investimento strategico di lungo periodo che ci offre l’opportunità unica di diventare una delle società dominanti nel settore beverage a livello mondiale”. Paolo Fontana, poi, aggiunge: “Questo accordo rappresenta lo sviluppo naturale di un percorso iniziato tre anni fa coerentemente con la strategia di far diventare il marchio un premium brand internazionale nella sua categoria”.
Ma com’è vista dalle associazioni di categoria italiana quest’acquisizione da parte del mercato estero? Nonostante la Gancia veda quest’azione come qualcosa di positivo e lungimirante, questo è sicuramente una privazione realizzata nuovamente dai mercati esterni a danno dell’eccezionalità del Made in Italy. La Coldiretti, invece, spiega che questa oramai è una tendenza e che già si è potuta vedere con altri casi precedenti riscontrati con la Berlotti, la Buitoni, la Carapelli, il Sasso, la Perugina, la Cademartori e la Galbani. Insomma, guardando le esperienze sembra proprio che la collaborazione estera sia qualcosa che avviene di frequente, nonostante la Cia faccia sapere che l’agroalimentare italiano andrebbe meglio tutelato.